sabato 6 febbraio 2010

Sue Glenton sarà in Italia il 16 febbraio per un giro di conferenze e incontri.
A Roma ci sarà un incontro pubblico alle ore 18,30 alla Comunità di Base San Paolo in via Ostiense 152/b.
Incontro organizzato dalla
Rete Nazionale Disarmiamoli; Rete Semprecontrolaguerra; Comunità Cristiana di Base S.Paolo; Associazione Italia-Iraq

Joe e Clare Glenton rifiutano di uccidere in Afghanistan
Ora il soldato britannico può prendere dieci anni
COME POSSIAMO APPOGGIARE JOE GLENTON

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Diciamo all'esercito e ai politici di LASCIAR CADERE I CAPI D'ACCUSA. Modello di lettera su www.refusingtokill.net
Facciamo un'azione il giorno del processo del Caporale Joe Glenton - provvisoriamente fissato per il gennaio 2010.  Contattateci per i dettagli: payday@paydaynet.orgIndirizzo e-mail protetto dal bots spam, deve abilitare Javascript per vederlo
Facciamo circolare le informazioni tra amici e parenti.
Il primo soldato britannico a parlare in pubblico contro la guerra in Afghanistan
Il Caporale Joe Glenton, di 27 anni, si arruolò nell'esercito nel 2004 e venne inviato a Kandahar in Afghanistan nel 2006.  Mentre l'esercito e i politici dichiaravano che le truppe britanniche erano là per aiutarli, Joe Genton fu scioccato nel vedere che gli Afghani combattevano contro di loro.  Pieno di vergogna e disilluso, si assentò dall'esercito senza permesso nel 2007, costituendosi due anni dopo. Accusato di diserzione, se viene condannato può prendere dieci anni di prigione. L'esercito ha cercato di impedirgli di parlare, ma non c'è riuscito (video).  Joe ha continuato a parlare dello scontento delle truppe.  La notizia della sua presa di posizione si sta diffondendo a livello internazionale, compresa la stampa europea.
Caro Gordon Brown, le sto scrivendo da soldato che presta servizio nell'esercito britannico. La mia preoccupazione fondamentale è che il coraggio e la tenacia dei miei commilitoni sono diventati uno strumento della politica estera USA. La guerra in Afghanistan non riduce il rischio del terrorismo, invece di migliorare la vita degli Afghani porta morte e distruzione nel loro paese. La Gran Bretagna non dovrebbe esserlo.
Joe Glenton (Agosto 2009)

"Mentre il numero dei soldati britannici morti raggiunge i 204 in otto anni di guerra, mi chiedo: 'Quanti altri ancora, Primo Ministro?' Esorto il governo britannico a metter fine a tutto il dolore e alle sofferenze di questi uomini e donne coraggiose e delle loro famiglie... Mio marito ed io siamo uniti in questo.  Tutto quello che chiedo è che tutti gli uomini e le donne esaminino la propria coscienza e arrivino alle proprie conclusioni."
Clare Glenton (Luglio 2009)



mercoledì 3 febbraio 2010

 Rete per la Tutela della Valle del Sacco
“Colleferro tra i Veleni di Stato”

Nel Febbraio 2007 è stato pubblicato dal Coordinamento Contro La Guerra Valle del Sacco un dossier sull’industria bellica a Colleferro, ripreso su internet (www.peacelink.it), che riportava il collegamento tra il regime di Saddam Hussein e le responsabilità dell’allora azienda locale di armamenti nel tacere da dove provenissero alcuni dei materiali che portarono gli ispettori dell’ONU a “pensare” che l’Iraq possedesse armi di distruzione di massa. Copia dei razzi Medusa81 prodotti dalla Snia BPD vennero trovati dagli ispettori e considerati impropriamente tubi per l’arricchimento dell’uranio. Oggi veniamo a sapere che le armi di distruzione di massa sono state prodotte fino al 1982 dalla stessa Snia BPD in disprezzo di tutte le convenzioni internazionali che già dagli anni trenta bandivano questo tipo di produzioni, come scrive Gianluca Di Feo nel suo libro “Veleni di stato”, pubblicato da Rizzoli nel novembre scorso: Una prova indiscutibile è stata scoperta nel quartier generale dei programmi segreti di Saddam Hussein, un punto fermo nelle voci che si sono accavallate per decenni. È un documento inedito, ottenuto grazie alla collaborazione di Stefania Maurizi, una delle migliori reporter investigative sulla proliferazione di armamenti proibiti. Si tratta di un rapporto recuperato dagli ispettori delle Nazioni Unite incaricati di smascherare i disegni apocalittici dell’ultimo rais. Quindici pagine di cianografie con i disegni di proiettili a gas progettati e sperimentati a Colleferro all’inizio degli anni Ottanta, un’altra capitale della chimica bellica italiana, ai confini tra la provincia di Roma e quella di Frosinone. L’intestazione è esplicita: Bpd Difesa-Spazio, la storica Bombrini-Parodi-Delfino che si è poi fusa con la Snia Viscosa. La firma è quella dell’ingegnere Angelo Cognini, capo dei laboratori balistici. Titolo: Prove sulla frammentazione dei proiettili e la dispersione dei liquidi. Data: 8 Luglio 1982.”(pag. 232). Queste rivelazioni vanno a confermare che nella Snia BPD era possibile, attraverso la segretezza militare e la mancanza di efficaci controlli, effettuare operazioni commerciali a discapito della regolarità delle operazioni. I misteri della Snia BPD sono stati affrontati in precedenza da una nostra comunicazione estratta dalla sentenza-ordinanza sulla strage di Ustica in cui veniva riportata la posizione dell’azienda di Colleferro sulle prove effettuate ai resti del Mig libico caduto a Castelsilano presumibilmente lo stesso giorno dell’abbattimento del DC-9 Itavia. Il dossier citato da Di Feo prosegue descrivendo quali armi e come venivano prodotte, testate e modificate: Il dossier contiene i progetti di diverse testate. Quattro diversi proiettili per cannone di grande calibro e soprattutto il Firos25, un razzo speciale ideato dai tecnici di Colleferro. Tutta l’operazione condotta a Colleferro per conto di Saddam Hussein è altamente insidiosa. I disegni infatti mostrano come trasformare normali munizioni in armi chimiche: ci sono le sezioni dei detonatori e tutte le informazioni per gestire la metamorfosi poi negli stabilimenti sull’Eufrate. I cannoni del Rais sarebbero così diventati strumenti di una morte invisibile dispersa su centinaia di chilometri. Una beffa alle convenzioni internazionali che hanno messo al bando le armi chimiche sin dagli anni Venti: le hanno proibite perché disumane. Alla Snia-Bpd rispettano la forma della legge: nei test non usano gas ma polveri innocue o miscele di acqua e zucchero, che simulano esattamente le sostanze letali poi usate dagli iracheni. Ma l’azienda ridicolizza la sostanza del divieto, riuscendo con pochi interventi tecnici a moltiplicare la potenza distruttiva del despota di Bagdad: poche modifiche, descritte nei piani tecnici che avrebbero fatto diventare i proiettili dei terribili messaggeri di gas. È proprio il Firos” gittata 25Km “a dare le maggiori soddisfazioni nelle prove, condotte sul poligono della fabbrica laziale: <>. Oltre nove metri di raggio, destinati a venire contaminati con iprite e mostarda.” Gli effetti di tali sostanze provocano “scarnificazione dei corpi e blocco dei polmoni” e consenso da parte degli iracheni che con l’utilizzo hanno provocato una contaminazione di “milioni di metri quadrati di terreno.”…. “La stessa cosa è accaduta con le munizioni per gli obici da 155 millimetri, modificati per sganciare nubi che non davano scampo. (pag. 233-234). Il libro di Di Feo contiene anche molte altre indicazioni sull’utilizzo, sulla produzione, sullo stoccaggio e sullo sversamento di armi chimiche fuori e dentro il territorio italiano, nei mari, nei deserti e nei depositi, dai primi anni del ‘900 fino ad oggi. La filiera dei gas bellici, secondo la mappa dei servizi segreti inglesi ai tempi della seconda guerra mondiale, comprende anche “officine di produzione capaci di contribuire con quantità limitate...” e gestite “dall’Aeronautica a Frosinone…” (pag. 54). Noi vogliamo solo rendere note informazioni per cercare verità sul nostro territorio. Ci viene da pensare se non sia il caso di andare a controllare cosa ci possa essere nei vecchi depositi o nelle gallerie, situati all’interno del comprensorio industriale di Colleferro e di cui ex-dipendenti della Snia BPD potrebbero esserne a conoscenza. Vorremmo sapere quali sono le perimetrazioni del poligono utilizzato da Snia Bpd, prima, e Simmel Difesa SpA, che poi ne ha rilevata la posizione commerciale, se vi sono stati fatti test anche con sostanze chimiche e se ne è prevista la caratterizzazione del terreno. Parlare di cementificazione di tali luoghi potrebbe significare voler seppellire definitivamente lati oscuri della storia italiana. A tal proposito se l’amministrazione del Comune di Colleferro, invece di proporre piani di urbanizzazione con il neo-PUGC (Piano Urbanistico Generale Comunale), non chiederà a chi spetta di desecretare l’area, protetta da un decreto regio del 1941, per permettere poi agli enti preposti il controllo per constatare l’eventuale esistenza di stoccaggio di materiale chimico-bellico, con rapporti dettagliati e comunicati alla cittadinanza, diventerà necessario attivare  gli organi ambientali nazionali ed europei attraverso le forme giuridiche che ci sono permesse.

Valle del Sacco, 22 gennaio 2010