mercoledì 3 giugno 2009

C'è un industria che non conosce crisi ed è quella degli
armamenti; ma solo nei fatturati.

C'è un made in Italy che non conosce crisi. Un'industria fiorente, competitiva e assai apprezzata dai mercati esteri, il cui fatturato quest'anno è letteralmente schizzato alle stelle. Dall'ultimo rapporto della Presidenza del Consiglio sulle esportazioni, importazioni e transito dei materiali d’armamento emerge che nel 2008, ad esempio, i pagamenti autorizzati (su commesse, va precisato, anche degli anni precedenti) hanno avuto un incremento di valore pari al 222% rispetto al 2007, passando da 1.329.810.000 euro a 4.285.010.000. In particolare, vale la pena soffermarsi sul valore delle esportazioni definitive, per le quali è previsto il corrispettivo regolamento finanziario pari a 3.046.103.844,95 euro, mentre nel 2007 l'importo ammontava a 2.369.006.383 euro. Rispetto al 2007, si è avuto un incremento del valore delle autorizzazioni alle esportazioni, al netto delle "operazioni Intergovernative", pari al 28,58% (contro il l 9,4% dell’anno precedente). Ed è proprio in questa fetta di autorizzazioni fuori dalle produzioni dirette degli Stati che si annidano le consegne più 'problematiche' del business.Ma di quali problematicità si tratta, se in Italia la legge che stabilisce i confini legali delle transazioni internazionali d'armi (legge 185, 1990) vieta le esportazioni di armi ai Paesi belligeranti, a quelli i cui governi siano responsabili di accertate violazioni dei diritti umani e ai governi che destinano al proprio bilancio militare risorse eccedenti le esigenze di difesa del paese? L'anello debole della normativa, peraltro assai scrupolosa, risiede nei paesi che vengono ritenuti idonei agli acquisti: una decisione presa con somma indulgenza da organi delle Nazioni Unite o dell’Unione Europea.Succede pertanto, in modo assolutamente lecito, che il principale destinatario di armamenti italiani sia la Turchia, che con oltre 1 miliardo di euro si aggiudica da sola, nel 2008, una fetta di quasi il 36% delle autorizzazioni, nonostante l'ultimo rapporto di Amnesty International denunci il Paese mediorientale per continue violazioni dei diritti umani. Viene esclusa dalla lista dei Paesi sotto embargo Onu o Ue anche la Cina, che esegue in media 22 condanne a morte al giorno (dati Amnesty) e continua la dura repressione delle minoranze etniche. E che dire delle armi a firma italiana esportate con imparziale par condicio contemporaneamente in India e Pakistan, anch'essi ritenuti paesi "non belligeranti"? Anche Israele risulta estraneo ai conflitti. A Tel Aviv sono destinate infatti aerei, armi, sistemi d'arma ad energia diretta, tecnologie e altro materiale parabellico per quasi 1,9 milioni di euro. Nel Sud del mondo, l'Africa "spara" italiano. La parte del leone la fa l’Africa del Nord, in particolare svettano le cifre delle commesse con l’amico Gheddafi, per un valore complessivo superiore ai 93 milioni di euro. Subito dopo si collocano l'Algeria e altri paesi dell'Africa Subsahariana, come la Nigeria e il Kenya, squassati da anni di guerriglia. La Tabella 15 del Rapporto pubblicato sul sito del Governo è estremamente precisa: paese acquirente, valore delle autorizzazioni alla vendita, descrizione del prodotto (aeromobili, siluri, razzi, missili e accessori, armi di calibro uguale o inferiore a mm 12,7; munizioni, ecc.). goroso codice etico, messo a punto con l'aiuto di alcune associazioni non governative.

(Fonte: Virgilio)

L'industria militare nel Lazio
•Il Lazio è una delle regioni italiane di maggiore rilevanza per presenza di attività industriale militare con oltre 46 aziende, specializzate in un’ampia gamma di tecnologie e servizi del comparto, e con circa 19.000 addetti.
•Il territorio regionale vede la presenza di molte imprese legate al comparto sia in quanto appartenenti al settore per la costruzione di aeromobili e veicoli spaziali, sia in quanto produttrici di software e sistemi informatici, sia in quanto produttrici di armi.
•Nella zona della Valle del Sacco, troviamo a Colleferro la Simmel Difesa (armi e munizioni), Avio spazio (per la propulsione aerospaziale) e più a sud nella provincia di Frosinone Agusta Westland (elicotteri).

L'industria militare in Europa
•In Europa nel settore industriale militare tra il 1993 e il 2003 sono stati cancellati 750 mila posti di lavoro (da un milione e 522 mila a 772 mila).
• La riduzione percentuale del numero di occupati dal 1993 al 2003, nell'industria della difesa, oscilla intorno al 30 % della Francia e Svezia, a circa il 50 % di Germania, Italia e Regno Unito, al 60 % di Polonia e Spagna fino a quasi il 70 % della Bulgaria (per limitarci ai 7 paesi principali).

Prospettive Europee
Tutti gli studi e analisi del settore convergono nel prevedere nel prossimo futuro una nuova riduzione degli occupati pari al 30%, per effetto sia di acquisizioni e fusioni, sia di razionalizzazioni impiantistiche, tecnologiche, di prodotto-mercato, ma anche di delocalizzazioni produttive in paesi low-cost.

(Fonte: Gianni Alioti-FIM Cisl)






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